La crisi economica ha portato alla perdita del posto di lavoro da parte di molti individui: uomini e donne. Persone che anche dall’oggi al domani, si sono ritrovate dopo anni di servizio senza un lavoro e ovviamente, un salario, una situazione che può indurre a stati di depressione di vario livello. La tanta attesa ripresa economica forse si fa sentire in alcuni settori ma, per quel che concerne gli impieghi tali dati continuano a segnalare che la crisi c’è ed è ben concreta. Aziende che chiudono, aziende che aprono e poi richiudono, persone che una volta perso il lavoro faticano a reintegrarsi, specie se non più giovanissime, ogni tanto si parla di suicidio di forti: Il dipendente, l’imprenditore, l’operaio…ma se ne parla al maschile. Questo non significa che le donne non lavorino ne che non vengano licenziate ma segnala un altro tipo di motivazione.
Quando un uomo perde il lavoro: la reazione
Secondo voi perché quando un uomo che perde lavoro o fallisce cade in depressione, magari tenta il suicidio mentre, le donne generalmente, resistono meglio a tale stress emotivo. Perché la reazione a tale evento è diversa tra i due sessi?
Perdere il posto di lavoro: come reagiscono gli uomini e come le donne
Quando un uomo perde il lavoro la sua reazione è spesso di forte delusione depressione e abbattimento, non che per la donna sia differente, ma le donne, spesso non hanno accentrato la loro vita solo ed esclusivamente sul lavoro, tranne che per una piccola minoranza. Le donne lavorano, gestiscono casa e famiglia, hanno dei figli da crescere.
Gli uomini, molto spesso sono assorbiti dal loro lavoro, alcuni di loro si dedicano esclusivamente a quello per 360 giorni all’anno, delegando spesso, la famiglia, la casa e la crescita dei figli alle proprie moglie, una sorta di egoismo al maschile di cui le nuove generazioni stanno modificando la tendenza. Un uomo identifica se stesso nel proprio lavoro e fallire in tale compito (attività in proprio), o perdere il lavoro stesso, viene vissuto dall’essere umano di sesso maschile come un vero e proprio fallimento, una perdita di identità: “non si ha più e non si è più!”
L’uomo si identifica nel proprio lavoro
Io sono il lavoro ed il lavoro è me, dunque il lavoro mi rappresenta, in virtù anche del ruolo di capofamiglia che il “maschio” si porta dietro da generazioni e che ha condizionato la sua amigdala, in questa direzione sin dall’infanzia. In un contesto di questo tipo, perdere il proprio lavoro, ed avere la consapevolezza delle enormi difficoltà per ritrovarlo, può far entrare un individuo in una crisi profonda tanto da indurlo al suicidio stesso.
L’atteggiamento al femminile
Le donne da sempre abituate a tollerare, mediare, accettare e dividersi tra ciò che piace e ciò che si deve fare… sanno reagire meglio ad una situazione del genere, senza contare che, comunque sia, si sentono coinvolte dalla responsabilità di essere madri e genitrici spesso in modo nettamente superiore all’uomo. Spesso la carriera di una donna viene influenzata dal suo essere madre, altre volte no, ma è comunque la donna a vivere la vita familiare, e lavorativa in simbiosi e a dover far combaciare le due attività nei tempi e nei modi che ritiene più opportuni: l’uomo no! l’uomo spesso lavora e se “avanza del tempo” partecipa alla vita in famiglia e all’educazione dei figli. La situazione, fortunatamente sta leggermente ma ciò che emerge è questo conflitto interiore che l’uomo di 40/50 anni si trova a vivere quando perde il proprio lavoro.
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