L’antica Roma dell’800 alimentava le più varie aspettative nei suoi visitatori molte delle quali venivano deluse. Ben diversa dall’aristocratica Parigi, nella città romana regnano architetture storiche degne di nota, tipiche dell’epoca romana, insieme a quelle barocche e rinascimentali più recenti, ma anche un modus operandi della vita sociale e civile che porta tra le strade romane semplicità e quotidianità: odori, musica, polvere e ruralità una città paesana dalla bellezza folcloristica.
Antica Roma dell’800: il mito di Roma
Secondo la guida scritta da Gillespie nei confronti della città eterna, affermava che due persone non vedono mai la stessa cosa pur osservando il medesimo soggetto. L’Urbe in particolare era una città nata per accendere l’immaginazione e suscitare nel visitatore, sentimenti diversi.
Un esempio lo sono le sensazioni e le descrizioni che uomini di lustro hanno avuto nel visitare il Colosseo, personaggi storici come Stendhal, James, Dickens e molti altri. Durante le sue passeggiate capitoline, l’autore della Certosa di Palma, Stendhal, scrive:” Michelangelo già molto vecchio fu visto un giorno d’inverno errare dopo un’abbondante nevicata e fra le rovine del Colosseo veniva ad elevare il suo animo fino a poterne sentire la bellezza ed i difetti del so disegno in creazione della sua cupola di San Pietro”.
Nel 1844 Charles Dickens va oltre la natura estetica del Colosseo e considera la sua funzione originaria: nel suo più cruento splendore il gigantesco Colosseo può ver fatto battere il cuore come ora lo fa battere a chi lo osserva in rovina. Una rovina, grazie a Dio! E come montagna fra le tombe esso sovrasta le altre vestigia, così nella natura del feroce e bieco popolo romano il suo antico influsso sopravvive ad ogni avanzo di mitologia e di remota truculenza”.
I racconti su Roma, gli scritti ed i testi, fanno emergere le più disparate riflessioni e considerazioni rivolte ad un opera specifica come il Colosseo ma lo stesso concetto è applicabile alla città, tutta. Ma al di là dell’immaginazione come era esattamente Roma in nell’800?
Storia della città di Roma nel medioevo
Lo storico Ferdinand Gregorovius visse a Roma a lungo nella metà dell’800. La descrive così: La città arrugginita e malandata si presentava coperta da una patina dei secoli. Impregnata del suo fascino malinconico del barbaro medioevo, fascino nel quale si aggiravano Papi e Cardinali, mentre le rovine secolari, non del tutto ancora scavate (riportate alla luce), ne ripulite ne incivilite con metodi archeologici, ricordavano nel loro abbandono pittoresco i leggendari Mirabilia Urbis Romae. In quei giorni ho sentito il respiro della vita storica di quella Roma medioevale.
Al di là di questa suggestiva atmosfera medioevale l’abbondante architettura di quel periodo restava quasi invisibile allo sguardo di a molti visitatori che rimanevano abbagliati con maggiore frequenza e facilità dagli splendori rinascimentali e barocchi dell’antica Roma di cui sono testimonianze vivide Palazzo Barberini, Piazza di Spagna e il Palazzo della Propaganda, la fontana del tritone del Bernini, la via delle Quattro Fontane, la meravigliosa chiesa si San Carlo del Borromini che si trova in cima alla strada.
Questo perché molte delle architetture medioevali erano state occultate dietro facciate barocche come ad esempio, Santa Maria in Cosmedin rinnovata nel 1715 successivamente riportata all’aspetto medievale nel 1894, o Santa Croce in Gerusalemme che assunse l’attuale aspetto alla fine del 700.
Le quattro porte di Roma
Nell’Ottocento le mura romane intatte di ogni età e momento storico, esercitavano ancora un potente fascino, ed aveva una funzione difensiva e doganale. Da diversi secoli, molte delle porte di Roma esistenti erano state chiuse, ma quattro rimasero aperte per favorire l’entrata l’uscita ed i controlli: Porta del Popolo a nord, che da accesso a piazza del Popolo, Porta Angelica e Porta Cavalleggeri ai due lati del Vaticano, ed infine, Porta Portese a Trastevere. Ma la sera, anche queste venivano serrate e nessuno poteva uscire dalla città ne entrarci.
Soltanto due dei sette colli romani erano abitati mentre metà della città era un vero giardino in abbandono: le vigne svettavano anche sul campidoglio, L’esquilino, il Palatino, e l’Aventino così come parte del Quirinale e del Viminale erano una distesa di campi coltivati alternati a ville Patrizie.
Il Tevere nell’Ottocento ed i suoi 2 porti
Il vecchio fiume Tevere scorreva tra le case nel suo letto naturale, inondando i quartieri che lo costeggiavano. Sul fiume vi era un via vai di barche e barconi che si spostavano tra i porti di Ripetta e di Ripa Grande. In via Tomacelli, anticamente chiamata via Macello, svettava un’incantevole scenografia creata a inizio 700 da Alessandro Specchi. Proprio qui, approdavano ogni giorno le barche che provenivano dall’Umbria e dalla Sabina, natanti che trasportavano olio, carbone e vino.
Nel porto di Ripa Grande che si trovava di fronte al complesso di San Michele, giungevano i piroscafi ed i velieri provenienti dal mare; qui vi era la dogana, l’arsenale ed i grandi magazzini. I due porti e le case che si trovavano in queste aree scomparvero durante i lavori di ristrutturazione dei muraglioni che fu realizzato a partire dal 1877 effettuate per prevenire le inondazioni.
Roma dell’800 tra arte, storia e panni stesi
Intorno al 1870 Roma era una città fatta per passeggiare per le strade e le piazze. Ecco come la descrive Henry James: “Tra le strade strette e tortuose non vidi nulla che mi sarebbe piaciuto considerare “eterno”. C’erano nuovi lampioni a gas attorno al Tritone e a piazza Barberni, un nuovo chiosco di giornali a via dei Condotti, mentre a Piazza di Spagna tutto era silenzioso e deserto. Ogni cosa aveva un aspetto dismesso e provinciale. Quella strana porta rococò che alla sommità di via Gregoriana immette in un giardino mi risvegliò nella coscienza la deliziosa dolcezza….”
James in queste, ed altre righe, esprime il suo “sentire Roma”. La percepisce come quasi tutti gli stranieri che vi si recavano, come una città fatta per vivere passeggiando per le strade vivendone angoli, vicoli, piazze e locali.
A quei tempi, per quanto possa essere difficile da credere, i buoi stazionavano al Foro e si abbeveravano alla fontana del Tritone in Piazza Barberini, zona periferica e luogo di sosta. I greggi di capre e pecore attraversavano in tutta tranquillità e vie urbane della città mentre i panni stessi ad asciugare erano visibili ovunque, anche al Foro, tanto che lo scrittore, giornalista e critico d’arte francese Edmond About la definì “la capitale della lavanderia“.
[Foto: panni stesi al Foro, Roma 1858]
In contrapposizione con il bucato pulito, nelle strade regnava lo sporco: cumuli di immondizia. Qualcuno però riesce a trovare questo sudiciume pittoresco come lo sculture William W. Story che nel suo “Roba di Roma“, (1863) scrive: “tutto era sudicio e tutto era Roma. Nessuno può pensare a difendere la condizione di alcune strade, ne di qualche uso del popolo. Ma l’ombra e la macchia che molti chiamano sudiciume, io lo chiamo colore, e so che la pulizia di Amsterdam rovinerebbe Roma per L’artista. L’eccessiva pulizia è stranamente in contrasto col pittoresco. A ogni cosa costruita dalla mano dell’uomo, la mano del tempo aggiunge una nota di grazia, e nulla è così prosaico come ciò che è assolutamente nuovo”.
Tra polvere, cavoli e musica la Roma dell’800
Nelle strade di Roma realizzate per la maggioranza in terra battuta, il vento del ponentino era frenato dai palazzi, mentre il traffico delle carrozze sollevava nuvole di polvere, tanto che era praticamente passeggiare per le strade della città senza tornare a casa completamente ricoperti di polvere.
Oltre alla polvere, nella stagione dei broccoli l’aria si impregnava del loro odore e della frittura di broccoli, ricetta in uso. Tutte le strade avevano un aspetto sporco e polveroso, ad eccezione del Corso che Stendhal definisce così: “la via del Corso, verso la quale sono stato ingiusto per anni, a causa del puzzo di cavoli e egli stracci che si vedono stesi nelle case, è forse la più bella strada dell’Universo: un sentiero di montagna può essere bello per il panorama che si gode passeggiando; il Corso è bello per le pietre poste le une sulle altre”.
Intorno alla metà dell’800 a Roma, si svolgeva proprio in Via del Corso il passeggio dei signori. In questa via fiancheggiata dai palazzi antichi e negozi si trovava la libreria Mele, un luogo d’incontro degli intellettuali. Sempre nella via vi era la bottega dell’ottico Lorenzo Suscipj, uno dei primi fotografi romani. Vi si trovava anche la modista Rosina Massoni e la cappelleria di Luigi Mancinelli fornitore di accessori per l’aristocrazia ottocentesca. Numerose le botteghe e famosi due caffè in particolare: Caffè Giglio e Caffè Nuovo entrambi, punto di incontro di giovani aristocratici ed ufficiali.
Poco più in là a piazza San Carlo vi erano locali in cui si cucinava la trippa romana e si friggeva pesce, poco oltre, a Piazza Colonna, si svolgeva il mercato e la sera vi si radunavano i butteri dell’agro pontino, mentre i “caffettari”, intorno alla Colonna Antonina, tostavano il caffè.
L’anima popolare di Roma antica emergeva per le strade, e si delineava con maggiore intensità la domenica e i giorni festivi quando piazze e ,vie si animavano di “burini” che si mescolavano con i numerosi pellegrini. Chi veniva a Roma percorrendo oltre 40 miglia aveva per 3 giorni consecutivi, diritto a vitto e alloggio gratuito.
I barbieri accoglievano i loro clienti all’aperto, sotto gli ombrelloni così come facevano anche gli scrivani offrendo un sevizio utile ai numerosi analfabeti dell’epoca.
Piazza Navona si trovava in quel tempo, al centro di un grande rione abitato principalmente da artigiani ed operai. Qui fra le due fontane si svolgeva il mercato che, nel 1869 fu spostato nella nota piazza di Campo De Fiori.
I cantastorie e la musica a Roma
In parecchie vie romane il giorno era cadenzato da passeggio di cantastorie e musicanti mentre nel periodo natalizio le strade si riempivano di zampognari e pifferai come non era possibile vedere in nessuna altra città del mondo. La musica e il canto avevano per le vie di Roma una presenza davvero considerevole tant’è che William Story intitolò uno dei capitoli del suo libro “Street Music in Rome“. I cantastorie vennero appoggiati dalla chiesa in quanto diffondevano i Santi e la Bibbia. Tra i più noti cantastorie di Roma dell’Ottocento si ricorda Andrea Faretta.
Una città poliedrica ricca di folclore con uno spiccato animo popolare che si districava tra vie, piazze ed opere d’arte. Una metropoli paesana dall’aspetto campagnolo, questo almeno fino al piano regolatore che venne stilato nel 1883. La Roma dell’ottocento vive, nel suo fascino popolare, una condizione del tutto preindustriale.
Adoro Roma, ci vado ogni tanto da 40 anni e ancora ho molto da scoprire. Una storia affascinante che a rende grande
[…] Storicamente la Roma dell’Ottocento mantenne un aspetto campagnolo che si andò via via sviluppando negli anni del piano regolatore 1883. Roma nel 1850 metropoli paesana che si reggeva sull’agricoltura, la produzione di vino e la pastorizia, attività che si svolgevano all’interno delle mura cittadine e contribuirono al benessere romano, insieme al modo gli affitti e al turismo. Quasi tutto il ceto borghese esercitava il mestiere di affittacamere. […]