Milano, nonostante sia nota a livello globale come la città dello shopping, è interessata da un forte calo del numero di negozi. Alla fine dello scorso anno, erano 1364 in meno rispetto agli ultimi scampoli di 2018. Nel 2023, sono state 143, in città, le attività che hanno cessato il proprio business.
I dati appena menzionati, ricavati dal Registro delle Imprese del capoluogo lombardo, parlano di una riduzione drastica, nel corso dell’ultimo lustro, dei numeri dei negozi di prossimità.
A cosa è dovuta questa perdita di quota? A diversi fattori. In primo luogo, va considerata l’abitudine, sempre più radicata, di passare molto tempo in casa. Questa tendenza, frutto anche dello smartworking, porta le persone a decidere, in molti casi, di farsi recapitare i prodotti di cui hanno bisogno direttamente a domicilio.
Il ruolo e la crescita dell’e-commerce
Un ruolo preponderante nella riduzione del numero di negozi a Milano è da attribuire indubbiamente alla crescita dell’e-commerce. Ancora una volta, ci vengono incontro i dati del Registro delle Imprese di Milano, che mostrano come, solo nell’ultimo anno, le attività che operano vendendo prodotti sul web siano cresciute del 12%, passando da 1900 a 2119.
Il problema del costo del personale per i negozi
Premettendo il fatto che avere un negozio nel capoluogo lombardo rappresenta, in ogni caso, un valore aggiunto per chi ha un business basato sulla vendita di prodotti – se stai valutando di aprirne uno, qui puoi trovare una lista di immobili commerciali in vendita a Milano – e che i numeri del turismo sono decisivi, è molto sentito il problema del costo del personale.
Come evidenziato nel corso di alcune dichiarazioni rilasciate il mese scorso al quotidiano Repubblica da parte di Marco Barbieri, segretario generale di Unione Confcommercio per le provincie di Milano, Lodi e di Monza e Brianza, nel capoluogo il costo del personale è più alto del 25% circa in confronto ai numeri delle altre città.
A questo dato va affiancato il costo sempre più ingente degli affitti e la tendenza, ormai molto diffusa, al raddoppio del canone da parte dei proprietari degli immobili una volta scaduto il contratto. Per questo aprire un negozio di venta più difficile e si deve valutare bene come e su cosa investire.
Un’ulteriore voce di spesa che pesa molto sulla perdita di quota dei numeri dei negozi a Milano negli ultimi anni riguarda l’occupazione di suolo pubblico, necessaria per chi ha business nel campo della ristorazione. In pieno centro, per esempio in Corso Vittorio Emanuele, questo onere economico è stato interessato da aumenti attorno al 70%.
L’aumento dei costi, pur essendo particolarmente rilevante in alcune zone, è generalizzato in tutta l’area interna alla circonvallazione – per chi non è pratico di Milano, si tratta del percorso compiuto dai filobus 90 e 91 – e coinvolge anche le cosiddette aree gentrificate, ex periferie degradate che, a causa dei progetti di riqualificazione, in pochi anni hanno cambiato volto.
Costi sempre più difficili da ammortizzare
Se si prende in considerazione anche l’aumento dei costi dell’energia e l’impatto su quelli delle materie prime, è facile comprendere come, per un imprenditore con un’attività che prevede la vendita al dettaglio, sia sempre più complesso ammortizzare i vari costi.
Quello che si cerca di scongiurare è un impoverimento del tessuto urbano, rischio fortemente temuto anche a fronte dei dati Confcommercio che parlano, per la Lombardia intera, di una riduzione superiore alle 2300 unità nel range temporale compreso tra il 2012 e il 2023 per quanto riguarda le imprese che vendono al dettaglio.
Una strada per riprendere quota è, a detta di Barbieri e non solo, la multicanalità sperimentata con efficacia negli anni del Covid, che prevede l’associazione tra la vendita dal vivo e la creazione di e-commerce dei vari negozi che, a Milano, grazie ai flussi turistici sono riusciti a raggiungere il traguardo del pareggio di bilancio.